Storia della Federazione Italiana Volontari della Libertà

Storia della Federazione Italiana Volontari della Libertà

L’emergere delle “diverse tendenze” era tuttavia in atto da tempo e per diverse ragioni: Enrico Mattei, nella relazione che aveva presentato in occasione del primo congresso nazionale della Democrazia Cristiana, tenutosi qualche mese prima a Roma, dal 24 al 28 aprile 1946, già aveva osservato:

[…] A trattare della questione partigiana, sono anche indotto per aver notato come le numerose celebrazioni fatte nella seconda metà dello scorso anno e poi, con sempre minore frequenza, in questi primi mesi del 1946, vennero quasi esclusivamente organizzate ed effettuate da altri partiti politici che, come è ovvio, furono indotti a valorizzare ed a mettere in particolare risalto l’apporto delle unità partigiane che a tali partiti facevano capo e che da essi dipendevano. Ciò ha forse ingenerato, nell’animo di coloro che ascoltarono tali rievocazioni e che ne lessero i resoconti sui giornali, la convinzione che la lotta di liberazione sia stata un po’ il monopolio di uno o due partiti politici. Noi troppo poco parlammo, fino ad oggi, dei nostri partigiani e troppo poco ne scrivemmo, quasi fosse la materia a farci difetto.

Orbene, pur concedendo che, per la complessità delle vicende del periodo clandestino, per il frequente costituirsi, disciogliersi e ricostituirsi delle unità partigiane, non è possibile dare le esatte proporzioni dei patrioti aderenti ad ogni singolo partito, ho ad ogni modo la ferma convinzione che la conoscenza dei dati a cui accennerò più avanti potrà servire a ristabilire più giuste proporzioni ed a rilevare quanto la Democrazia Cristiana ed i suoi combattenti hanno fatto perché l’Italia fosse libera e democratica. Potrà far pienamente capire a tutti perché noi non ci sentiamo a nessuno secondi in materia di guerra partigiana, e perché – come S.E. De Gasperi ha ben chiarito nel recente discorso di Torino – non possiamo acconsentire ad essere “accolti” da nessuno tra le file dei difensori della libertà. Noi fummo bensì, e siamo sempre, “al fianco” di tutti per la difesa e la diffusione della libertà, in assoluta parità di diritti con qualunque altro partito, come fummo a chiunque pari nel compiere il nostro dovere.

Ne abbiamo una chiara conferma in alcune frasi della lettera che il Comandante Generale del C.V.L., Gen. Raffaele Cadorna, mi scrisse il 6 maggio 1945, in occasione della sfilata di 16 mila uomini delle formazioni democristiane a Milano, per celebrare l’avvenuta liberazione. Dopo aver affermato che l’opera delle formazioni della Democrazia Cristiana è stata benemerita non solo del partito, ma della guerra partigiana in genere, la quale, appunto per la fusione di tutte le correnti politiche nelle sue file, era divenuta veramente nazionale, il Gen. Cadorna aggiungeva: «Questa verità è apparsa chiaramente a tutti, oggi, nel contemplare affiancate ed affratellate formazioni di ogni colore, ma in particolare di colore rosso ed azzurro»[8].

In tale contesto, anziché appianarsi in vista del primo Congresso Nazionale dell’A.N.P.I., previsto per dicembre 1947, le contrapposizioni all’interno del partigianato italiano si acuivano ulteriormente: lo stesso Mattei, pur essendo ancora vicepresidente dell’A.N.P.I., fonda il periodico «Europa Libera» e dà vita all’ “Associazione Partigiani Cristiani”, che nasce a Milano il 2 marzo 1947; in altre parti d’Italia, nascono varie associazioni di partigiani autonomi, secondo il modello “ideologico” delineato da Mattei oppure ricalcando la composizione geografica, delle formazioni autonome[9]; nel maggio 1947, De Gasperi che assume la presidenza del primo governo della Repubblica formato senza la partecipazione del Partito Comunista Italiano e dei socialisti, mentre, ad agosto dello stesso anno, prende avvio il Piano Marshall, la cospicua serie di aiuti economico-finanziari americani che avrebbe permesso non solo una rapida ricostruzione della penisola, ma anche la piena integrazione economica tra il Vecchio ed il Nuovo continente, secondo un modello economico e sociale nettamente antitetico a quello comunista.

Nonostante tutte queste divisioni e spinte divisive, il 18 luglio 1947, si costituisce a Milano la “Fondazione Corpo Volontari della Libertà”, il cui Comitato direttivo fu composto dagli stessi componenti del Comando generale del C.V.L.: Cadorna, presidente, Ferruccio Parri, Luigi Longo, Enrico Mattei, Giovanni Battista Stucchi e Mario Argenton; furono chiamati a farne parte, in rappresentanza delle formazioni partigiane storiche, anche Francesco Scotti per le “Garibaldi”, Eugenio Cefis per le “Brigate del Popolo”, Enrico Martini Mauri per le formazioni “Militari e Autonome”, Enrico Gandolfi per “Giustizia e Libertà”, Guido Mosna per le “Matteotti” e, fin dall’inizio, venne cooptato nel Comitato Arrigo Boldrini, quale segretario dell’A.N.P.I., unica associazione partigiana allora esistente.

Le possibilità di celebrare il primo Congresso Nazionale dell’A.N.P.I. su una base unitaria e concorde sembrano così accrescersi, ma fin dalla prima seduta del congresso, che si apre a Roma il 6 dicembre 1947, appare chiaro che il nodo dirimente è quello dei criteri di voto: al momento della sua costituzione, si era previsto che le deliberazioni dell’assemblea dell’A.N.P.I. fossero prese con il metodo “maggioritario”, ovvero a maggioranza di voti, secondo una modalità di votazione che superasse il sistema “paritetico” di un voto per ogni corrente, allora in uso nell’ambito del C.L.N.; quest’ultimo metodo, che attribuiva ad ogni corrente politica  pari dignità e potere decisionale, mirava a garantire la massima coesione nel corso della guerra di Liberazione, per rinforzare l’indispensabile unitarietà del movimento resistenziale. Nel Congresso Nazionale, apparve chiaro che l’adozione di un sistema di votazione “maggioritario” avrebbe, da un lato, permesso un confronto democratico più efficace, basato sugli effettivi rapporti di forza tra le diverse componenti del movimento partigiano, ma, dall’altro, avrebbe anche inevitabilmente comportato un problema di rappresentanza per le formazioni minoritarie, prefigurando una sorta di “egemonia comunista” nella guida dell’Associazione e minando le fondamenta stesse dell’unità associativa.

Nel corso di un aspro dibattito, i delegati schierati politicamente su posizioni democristiane, pur presentandosi in minoranza, sostennero il criterio “paritetico”, prospettando anche una soluzione federativa per l’organizzazione interna dell’A.N.P.I., mentre i delegati di orientamento comunista, forti della loro superiorità numerica, sostennero il principio per il quale ogni iscritto avrebbe dovuto esprimere un voto, delineando anche una struttura fortemente verticistica e centralizzata dell’associazione, con un Presidente Nazionale, una Segreteria Nazionale, un Comitato Nazionale e le sezioni locali. La scelta di arrivare alle deliberazioni “a maggioranza di voti” comportò la fuoriuscita dall’A.N.P.I. dei delegati delle formazioni autonome e delle formazioni cattoliche.