Il senso della vita e della morte. E venne ad abitare in mezzo a noi. La rivoluzione cristiana nella storia.

Il senso della vita e della morte. E venne ad abitare in mezzo a noi. La rivoluzione cristiana nella storia.

Libero excursus intorno a due significativi contributi dei savonesi Lelio Speranza e Christian Peluffo: due generazioni con i medesimi valori.

Di Antonio Rossello (*)

Aprile 2014

Il proposito calato fra le righe che seguiranno è tracciare un percorso analitico e riflessivo che invita ad interrogarsi su quanto recentemente scritto dai savonesi Lelio Speranza e Christian Peluffo, rispettivamente in una lettera e in un libro, che ho avuto il piacere di leggere in anteprima.

Iniziamo dal manoscritto diffuso da Speranza:

“Il senso della vita e della morte.

Non trattiamo i nostri morti da morti. Cerchiamo di pensare che noi viviamo in Dio, Supremo Artefice dell’Universo. La nostra consolazione sta nel fatto che Dio è con noi, nella vita terrena e nella vita eterna. Alziamo gli occhi al Cielo e ci rendiamo conto dell’esistenza di miliardi e miliardi di soli e miliardi e miliardi di pianeti che girano intorno ad essi. Quanti di questi saranno certamente abitati e come tutto funzioni in modo inimmaginabile eternamente. Il mistero della vita eterna, essere Cristiani si qualifica col credere nella vita eterna. Chi non crede in essa cessa di essere Cristiano. E’ molto difficile considerare che non ci sia logica nella vita dell’umanità, che tutto quello che ognuno di noi ha fatto, nel bene e nel male, finisca nel nulla. Allora gli animali, che non hanno il senso della vita e della morte, sarebbero molto più fortunati. Cerchiamo di guardare il Cielo e chiediamoci perché siamo venuti al mondo. Perché abbiamo la sensibilità di amare, di sentirci amati, la felicità, l’infelicità, il piacere, il dolore, ecc…. la consapevolezza di essere vivi ma di dover morire. Quale può essere la nostra unica consolazione? Il messaggio di Gesù. Il fatto che Dio è con noi per sempre, che nemmeno la morte fisica può troncare quel legame. Siamo nati per amare ed essere amati. Dovremo quindi cercare di vivere una vita logica, nella speranza che Dio Onnipotente ci accolga nella sua immensità e ci conceda, nella pienezza dell’amore, l’eterna vita spirituale. Noi siamo sale e luce perché siamo in Cristo Gesù.

marzo ’14 Lelio Speranza Presidente AVL (Ass. Volontari Liguria) Vice Presidente Nazionale FIVL (Fed. Italiana Volontari della Libertà)”

Con queste parole Lelio Speranza ci fa meditare sul nostro Destino. Dall’ammirazione delle bellezze e dell’ordine della Natura, discendenti dalla Creazione, dalla constatazione di un Assoluto oltre i confini dello spazio e del tempo, egli ritiene l’Uomo capace di attuare tutte le sue potenzialità, di ordinarsi liberamente, e creativamente, e disciplinarsi verso il bene, il quale induce una mutazione più alta verso la pienezza dell’Essere. Come sostiene anche il teologo Vito Mancuso in “L’anima e il suo destino”, Il “Comandante” considera plausibile pensare che questo livello si possa riscontrare in uno stadio superiore dell’Essere che continui dopo la morte. Un’argomentazione che contrasta concezioni pervicacemente materialiste oggigiorno dilaganti. Ecco il pensiero che un testimone vivente della Lotta di Liberazione ci consegna in occasione della Santa Pasqua. Essa quest’anno cade alta il 20 aprile e, come sempre, non sarà scevra di tanti atteggiamenti profani, i quali si sono purtroppo infiltrati nelle feste cristiane ed hanno creato sovrastrutture che umiliano l’autentica pietà popolare. Siccome oggi, più che mai, è urgente il recupero di un condiviso “Idealismo etico”, è lecito pensarla come una Festa per la quale si dovrebbe, innanzitutto, consolidare un senso compiutamente comunitario a partire dal suo originale sentimento religioso. Si possono manifestare così rinnovate letture, sfruttando sensibilità e prospettive diverse, di Ideali condivisi, quali ad esempio la Libertà. Un tentativo volto a provocare e sollecitare nuove riflessioni, magari articolate e complesse, sulle quali può riflettersi il messaggio pirandelliano dello sfaccettarsi della Verità. La storia dell’Uomo spesso racconta proprio di prevaricazioni e schiavitù, ma anche di ricerca talvolta spasmodica, a volte eclatante, talvolta profonda di Libertà. Forse la libertà totale non è da ricercare in questo mondo oppure si trova solo a grandi profondità dentro se stessi? Ebbene la Libertà è un concetto dinamico, non statico. Conquistarla comporta un processo di presa di coscienza e d’azione nell’individuo. Anche attraverso un passaggio doloroso. Questo, a livello antropologico e storico, è avvenuto in forma collettiva in disparate realtà sociali e culturali, nei luoghi e nelle situazioni più diverse. I protagonisti sono coloro che hanno sopportato la prova crudele di momenti, brevi ma paurosamente lunghi, nei quali l’uomo è privato di un suo intimo bene: la speranza. E, sebbene in balia dello smarrimento e dell’angoscia, è tuttavia capace di dare ordine al proprio destino e al proprio animo. Si perpetua il significato di un passaggio terreno sublimante in un “pathos”, identico in numerose vicende umane di persecuzione e martirio, dagli albori della Creazione fino ai giorni nostri. Di guisa che Cristo ci è d’ausilio per comprendere come l’amore possa indurre ad accettare il proprio sacrificio, votandosi al bene e affrontando l’afflizione. Ne scaturisce una sequela a partire da Santo Stefano, appunto chiamato “Protomartire”, perché primo fu a morire per amore a Cristo e per la fede in lui. Il martirio dei Cristiani non si è concluso con l’età antica, ma è proseguito, in varie regioni del mondo a seconda delle epoche, fino ai giorni nostri. Una moltitudine di fedeli, i quali, per diffondere il messaggio evangelico, sono incorsi in pene e torture, fino alla condanna capitale, considerando gli esiti estremi della loro vocazione, quale l’immolazione della propria vita. Pasqua. Passione e Resurrezione. Nella simbologia pasquale si possono ritrovare i grandi momenti drammatici ed epici delle vicende dell’Uomo, quali la sciagura di una guerra che sembra dilaniare tutto e l’agognata vittoria che le pone termine; la vita che riprende il libero corso, quasi una vera resurrezione. La Pasqua ebraica inizia con il plenilunio di marzo e dura per otto giorni, nei quali, seguendo antichi riti, gli Ebrei ricordano la liberazione dalla sottomissione del proprio popolo alle vessazioni egiziane, grazie a Mosè, e l’avvio di un lungo viaggio di 40 anni alla volta della terra promessa. Con la Pasqua, invece la Cristianità ogni anno celebra, nella prima domenica successiva alla luna piena dell’equinozio di primavera, la memoria della Passione e della Risurrezione di Gesù, con l’instaurazione della Nuova alleanza e l’avvento del Regno di Dio. Si consacra perciò un augusto mistero dell’anima umana. Mistero che si ripete continuamente nel mondo ed attraverso il quale gli eletti assurgono alla visione celeste ed all’immortalità. La Pasqua antepone icone da cui riceviamo motivazione e slancio; ci sollecita a passare veramente da un ‘mondo’ di schiavitù alla fresca aura della libertà, a traslocare da un ‘mondo’ della noia ad ‘mondo’ vivido di gratuità e generosità. Diventa perciò importante conoscere a fondo il rapporto tra cristianesimo e libertà, anche per argomentare e ribattere davanti all’obiezione in base alla quale, nei suoi fondamenti, il cristianesimo sia nemico della libertà personale e di coscienza e che la sua originale “pretesa” di Verità possa essere latrice di violenza e sopraffazione. «Essere liberi è cosa da nulla: divenirlo è cosa celeste.». Questa frase, emblema della passione per la libertà e per la persona intesa come essere irriducibile, è del filosofo Johann Gottlieb Fichte, vissuto a cavallo fra ‘700 e ‘800, in Germania. A volte ci pare di essere liberi, a volte molto meno. Se ne coglie un significato profondo: quando sei libero non te ne accorgi, perché non sei mai stato prigioniero. Ma se da prigioniero diventi libero, allora capisci la grande importanza di quello che ti è stato donato. Vuol dire che l’essenza dell’uomo sta nella possibilità di determinare liberamente se stesso. Grazie al libero arbitrio ciascuno dispone di sé. Realizzarsi positivamente in virtù delle proprie scelte è la cosa celeste, che fa evolvere. Simili affermazioni non trovano smentita nel contesto cristiano, dove non a caso il concetto stesso di “diritti umani” è sorto. Viene da pensare a Tommaso Moro (1478-1535), venerato come santo dalla Chiesa cattolica, al suo capolavoro letterario Utopia, al prezzo che pagò della sua stessa vita, mostrando che i cristiani sono davvero coloro che, illuminati dalla ragione e in virtù della loro libertà di coscienza, rigettano ogni genere di angheria, anche quelle eventualmente perpetrate da male indirizzati compagni di fede. Tra cristianesimo e libertà esiste infatti un legame originario e intrinsecamente profondo. Senza intermediari, esso attinge dalla predicazione di Cristo, che trova poi uno strenuo e geniale seguito in san Paolo, il quale sostiene: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi», (Gal 5,1). Qui l’Apostolo si rivolge fondamentalmente alla libertà interiore di cui il cristiano gode, la quale chiaramente induce anche degli effetti a livello di società. Rimangono or dunque le testimonianze di chi vivendo certi drammi – privato della Libertà e senza la pretesa della veggenza del futuro – riesce ancora a considerare la speranza del futuro come tempo della pienezza e del compimento, come un momento rivoluzionario di svolta che deve cambiare il mondo e l’uomo. La fede per chi la possiede e la comune voglia di cambiare in meglio il mondo. Aspetti che talvolta si intrecciano intimamente, sino a fondersi. Uno fra tanti esempi possibili: Dietrich Bonhoeffer. Giovane pastore protestante simbolo della resistenza tedesca contro il nazismo. Viene considerato uno dei campioni della cristianità del secolo scorso. La sua esistenza rappresenta un’affermazione di fedeltà alla propria terra, sino al gesto ultimo del martirio. Emigrato negli Stati Uniti, dove poteva tranquillamente rimanere a compiere la sua missione apostolica, allo scoppio della guerra egli invece volle imbarcarsi sull’ultima nave tedesca che rientrava in patria. Per condividere l’epilogo di tragedie e miserie della sua nazione. Conscio che il nazismo fosse la negazione cristiana, accettò il rischio, per opporsi a tale iniquità. Pertanto venne arrestato e poi impiccato il 9 aprile 1945, nel campo di concentramento di Flossenbürg. Un modello autentico di fedeltà alla terra. Si intravede in Bonhoeffer un richiamo ai Padri della Chiesa. I pensatori cristiani dei primi secoli che basarono la propria azione sulla ricerca di un’unità di vita, dettata da riflessioni intellettuali estremamente feconde, accompagnate da un’intensa preghiera, mantenendo sempre, e comunque, la piena integrazione nella vita della Chiesa del tempo. Bonhoeffer scrisse dalla prigione un ampio epistolario, qui impossibile da citare interamente, da cui emerge un Dio che non vuole troni nel mondo, e così libera la fede individuale: «Dio, raccogli i miei pensieri verso di te. Presso di te la luce, tu non mi dimentichi. Presso di te l’aiuto, presso di te la pazienza. Non capisco le tue vie, ma tu conosci il cammino per me.». Ma questa non è la sola responsabilità cristiana: se ti salvi non puoi farlo come se fossi solo. Lo devi fare vivendo con gli altri ed aiutando gli altri. Il cristiano è pertanto colui che annuncia; è missionario, e non può ignorare l’altrui condizione, che si traduce in aspettative, incertezze e negazioni: «Colui che stima il suo tempo troppo prezioso per poterlo perdere ad ascoltare gli altri, in realtà non avrà mai tempo né per Dio né per il prossimo; ne avrà soltanto per se stesso e per le proprie idee.». Un chiaro monito all’affidamento a Dio e all’amore per il prossimo. Il Cristianesimo, anche sotto il profilo terreno, nella sua essenza risulta rivoluzionario. Va quindi controcorrente. Riceviamo la nostra fede nella salvezza del mondo attraverso il Dio incarnato, cioè, soprattutto, la nostra fede nella sua accettazione della carne e del corpo. Un corpo nel senso più pieno del termine: un corpo che ha bisogno di cibo, che si stanca e che soffre. Ossia quanto nella Scrittura è chiamato vita. La vita, la quale prima di tutto consiste del corpo umano, animato dallo spirito e dello spirito fatto carne, giunge a termine – al momento della morte – nella separazione dell’anima e del corpo? No, l’uomo non scompare con la morte, perché la Creazione non può distruggere ciò che Dio ha chiamato ad essere dal nulla. Ma l’uomo è immerso nella morte, nel buio e nella debolezza del mondo. Per il Cristianesimo, il mondo così com’è va cambiato. Si manifesta di conseguenza un fermento rivoluzionario: il senso di essere sempre in cammino verso la terra promessa. Esso certamente crede che il paradiso, una società perfetta realizzata una volta per tutte, non sia possibile sulla terra. Ammette però una tensione progressiva ma incessante, la quale aiuta a resistere contro le delusioni che puntualmente avvengono, quando si attende una rivoluzione che risolva tutto e per sempre. Sono considerazioni che fece anche Don Primo Mazzolari, un sacerdote attivamente coinvolto nella lotta di liberazione in Lombardia, scrivendo “Rivoluzione cristiana” tra la fine del 1943 e il 1944, con la speranza di pubblicarlo anonimo alla macchia. Solamente nel dopoguerra, il suo disegno poté però realizzarsi postumo. Tutta la vita cristiana assume lo stesso schema: si va verso. Il progetto non è un progetto già realizzato, ma un cammino di fedeltà alla Parola di Dio, in uno sforzo affinché questa Parola in qualche modo si incarni. Tutta la realtà cristiana è un’ incarnazione continua. La rivoluzione cristiana è portata da Cristo e non c’è vera rivoluzione senza di Lui. In tal senso il Cristianesimo richiede la «metanoia»: il cambiamento radicale della vita. E’ così richiesto un uomo nuovo. Se il Figlio di Dio si fece uomo e venne ad abitare in mezzo a noi – come leggiamo nel Vangelo di Giovanni -, la stessa cosa deve concretizzarsi con i cristiani: incarnare nell’attualità del tempo la Parola che viene dal Figlio di Dio. Il fondamento teologico sta dunque nella dinamica dell’Incarnazione, non nel mero richiamo ad una visione del mondo che assume come centrale e costitutiva la distinzione tra immanenza e trascendenza. La prova cruciale della permanente vitalità del cristianesimo consiste proprio nel suo saper essere fermento rivoluzionario nella storia contemporanea. Ne viene che la Parola contenuta nei testi sacri antichi, i quali per molti potrebbero avere un linguaggio poco accessibile, diventa più intelligibile proprio nel momento in cui si adotta una chiave di lettura di tipo attuale. Introduciamo il secondo contributo. Nello sterminato panorama della letteratura religiosa, un autore esordiente, il savonese Christian Peluffo, quarantenne, docente di Religione, si è voluto apprezzabilmente soffermare su molti particolari, non sempre trattati con attenzione dagli addetti ai lavori. In “E venne ad abitare in mezzo a noi. La rivoluzione cristiana nella storia” – qualche mese orsono apparso per i tipi dell’editore Sabatelli – Peluffo ci fa camminare accanto a lui, con passo lento e sicuro, stagione dopo stagione, indagando la storia attraverso una prospettiva cristiana, intatta rispetto a quella delle origini, aldilà degli adattamenti a riti e cerimonie, che la religione ha cercato di provvedere a fronte di trasformazioni volute dai tempi e dai nuovi ambienti. Sono colte le contraddizioni generatesi nei tempi nuovi, generalmente identificati con la prevalenza dei valori della materia e dei bisogni concreti, immanenti che vi sono collegati, sopravanzati fino a fagocitare la maggior parte del tempo e dell’impegno a livello individuale e sociale, inducendo una vita circoscritta all’azione rapida, precisa, efficace, provenga essa dall’uomo o dal mezzo tecnologico. Sicché può sorgere inevitabile conflitto fra una concezione del mondo sempre più calcolata, ragionata che giunge a ridurre fino ad annullare quanto alla ragione sfugge, e si spiega solo con l’anima, ed una che, al contrario, dà spazio all’attività spirituale e alle sue espressioni compresa quella religiosa. Frutto di circa tre anni di studi e ricerche, il volume trae le mosse dal bisogno di speranza dell’autore in un periodo travagliato, frammentato e contorto, della propria vita in cui anch’egli avvia un “processo”, un vero cammino che porti ( o che, perlomeno, tenda a portare) alla liberazione interiore, sperimentando sulla propria pelle un esercizio improntato ad accezioni che prima ho descritto. Una situazione in cui le risposte più complete, soddisfacenti, e sinergiche, sono state quelle dettate dalla fede cristiana. Un’ancora di salvezza, che distoglie da più facili forme di evasione e induce a trovare finalmente tempo per la meditazione, per essere pronti ad una consapevolezza pura, creando pace e armonia dentro se stessi; riconoscere l’origine di ferite e ingiustizie subite, individuare le difese messe in atto per sopravvivere con meno sofferenza, smaltire e restituire pregiudizi, convinzioni limitanti, pretese, svalutazioni, ammettendo di averli, inconsciamente, assecondati e legittimati, dentro e fuori di noi; sostituire la confusione emozionale o mentale con qualcosa di positivo e attivamente sacro e divino, che abbiamo interiorizzato dai nostri Padri. Un viatico lungo il quale Christian matura nella sua naturale propensione a sondare la modernità, con la sua società e cultura di massa, con i suoi interessi soprattutto immediati e contingenti, nelle sue molteplici implicazioni ed evoluzioni, sviscerandone – senza sconti – mentalità, valori ed identità dominanti. La risalita alle cause è stato sicuramente uno dei moventi del libro. L’opera – che a compimento si articolerà su due volumi – riassume un percorso bimillenario, svelando come il cattolicesimo abbia radicalmente mutato le sorti dell’intera umanità, rievocando grandi avvenimenti e piccoli fatti vissuti vissute da individui, e ogni persona è unica e irripetibile, a suo modo infinita, in un flusso scandito dall’alternarsi delle epoche. Nell’analisi affiorano elementi variegati, esposti in adeguata misura e con la stessa dignità; nella moltitudine di valori ed iniziative che hanno caratterizzato l’Occidente, e dunque la quotidianità delle persone, anche più estranee al fatto religioso, ogni frammento trova la giusta collocazione all’interno di un quadro dipinto da Christian nei colori più vivi. Sebbene non vi siano tesi del tutto nuove, vengono senz’altro proposte e promosse tematiche salienti: dal matrimonio monogamico alla dedizione verso il povero e il malato, dalla considerazione per la donna alla dignità del lavoro manuale, dallo sviluppo dell’istituzione scolastica a quello degli ospedali e degli orfanotrofi. Viene fornita in primis una rielaborazione, a volte critica, per cui la qualità concettuale del testo deriva da ciò che l’autore esplicitamente propone o dimostra e per gli stimoli interpretativi che suscita nel lettore, pure a proposito del concetto forse più volte ripreso in questo mio pezzo: la Libertà. Nella prima parte del libro, in diversi passaggi Peluffo la introduce come aspetto della nostra vita avvolto nel mistero, come possibilità del mutarsi di una sofferenza interiore in un sentimento capace di muovere l’essere umano. Mi colpisce fra le diverse citazioni che si trovano in quelle pagine, il felice ricorso a uno dei maggiori esponenti dell’esistenzialismo cristiano, Nikolaj Aleksandrovi? Berdjaev, filosofo russo del secolo scorso. In particolare, una sua affermazione è testualmente ripresa: “La grazia di Cristo costituisce appunto il Mistero della libertà che ama e dell’amore che libera.” Parole che danno enfasi al principio della conversione. Emerge, pertanto, la figura di una persona che, accorgendosi di camminare su una strada sbagliata, decide di tornare sui suoi passi e di incamminarsi in una direzione diversa. E’ una determinazione esistenziale che può avvenire normalmente, grazie all’azione persuasiva di una terza persona oppure alla riflessione personale, ma qui si manifesta attraverso l’attenzione alla realtà e al suo mistero, con percezione che si realizza pienamente solo con lo sguardo di Cristo. “Per avere la Fede ? afferma Kierkegaard, filosofo, teologo e scrittore danese (1813-1855) ? occorre anzitutto un’esistenza, una determinazione esistenziale.” L’intenzione del libro si rivela a questo punto in forma palese: farsi carico di una funzione esclusivamente divulgativa per ovviare ad una carenza di conoscenza degli argomenti trattati, che si ravvisa particolarmente fra i giovani. Lo stile espositivo è volutamente accessibile a tutti, scorrevole ed essenziale, focalizzato a risaltare gli aspetti meno noti indagati nella fase di stesura. L’esperienza nell’insegnamento è stata di aiuto. Il presente “excursus”, pur nei suoi limiti oggettivi, porta ad notare che Peluffo enuncia ragioni essenziali che indubbiamente si possono ricondurre a considerazioni evincibili dal testo di Lelio Speranza. In primo luogo la rilevanza umanistica e morale di valori tali da rendere irrinunciabile una società cristianamente ispirata. Un’inaspettata comunione d’intenti che, pur avendo origine dalla diversità individuale, travalica il divario generazionale, rendendolo solo apparentemente percettibile. Per tale motivo, entrambi i contributi rappresentano tout court un servizio intellettualmente prezioso, che apre interessanti possibilità di confronto, almeno in sede locale. Un obiettivo doveroso che nasce, dando continuità all’operato singolarmente svolto in ambito civico e professionale, per ricercare idee al passo con i tempi e volte al miglioramento collettivo. Un approccio che, quantunque di parte, certamente non mette in discussione la validità di un’asserzione: essendo ormai giustamente venuta meno la supremazia della religione su ogni altro fenomeno culturale, la stessa resta un fatto privato nella concezione moderna di Stato democratico, che poggia validamente sul “principio di laicità”. Tuttavia, quanto alla persistente dialettica tra laici e credenti, aborrita l’irriducibilità a un gretto conservatorismo sociale e politico, l’evoluzione del pensiero e della storiografia non permette di mettere i secondi sempre più fuori gioco, a vantaggio dei primi. Si riscontrano infatti prove assai convincenti che adducono che tutte le rivoluzioni, anche politiche, hanno sognato un sovvertimento nel contempo sociale, collettivo, materiale, come pure spirituale e interiore. Probabilmente chi fa proprio il senso mistico dell’eterno è meno succube dell’infatuazione idolatrica di quel momento di tempo in cui vive e delle momentanee ed effimere forze che paiono in quel momento invincibili e incontrovertibili. L’essenza ispiratrice che ci anima sia espressa nel confluire nel mare di molteplici sorgenti. In un rapporto equilibrato tra coscienza individuale e bene comune, basato sul rispetto dei punti di vista diversi, la cifra di una civiltà è spesso la capacità di farsi interprete e memoria di un mondo, in cui la passione possa essere intesa come il superamento – con dedizione generosa – di fatica e dolore, che permette al bene di esplicarsi. E questo sia l’impegno civile che, insieme, oggi, ci accingiamo a rinnovare. Memori dei nostri Padri e fiduciosi nei nostri Figli, essendo di stimolo severo a chi ci guida se occorre.

(*) Pres. F.I.V.L. – Sezione Albissole

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