Anniversario commemorazione eccidio al Sasso di Finero

Giornata del ricordo con la commemorazione del settantatreesimo anniversario dell’eccidio dei comandanti partigiani Alfredo Di Dio e Attilio Moneta, vittime dell’imboscata attuata dai nazifascisti il 12 ottobre 1944 a Cursolo, con la ricorrenza che si è articolata in quattro momenti distinti: prima le soste ai cimiteri di Malesco e di Finero, quindi la commemorazione al Sasso di Finero e infine un ultimo momento al monumento ai Caduti di Cursolo. “Questa di oggi è la giornata di ricordo ma anche della riconoscenza” ha evidenziato Emanuele Rossi, presidente della Casa Museo Partigiano Alfredo Di Dio di Ornavasso. Tanti i gagliardetti presenti tra i quali delli dell’Anpi di Villa Cortese, del Comune di Inveruno e della Città di Busto Arsizio. Presenti alla commemorazione i partigiani Riccardo Zerba di Villa Cortese e Mario Parmigiani di Ornavasso, poi le autorità vigezzine rappresentate dai sindaci di Malesco (Enrico Barbazza),Craveggia (Paolo Giovanola),Toceno (Tiziano Ferraris) e Villette (Pierangelo Adorna) ed esponenti della Valle Cannobina. “Giornate come queste valgono come, e forse anche di più, della lettura di tanti libri di storia – ha affermato il sindaco di Cursolo Orasso, Alberto Bergamaschi -. Infatti lo spirito e la realtà degli eventi si percepiscono meglio a contatto diretto con i luoghi, le vicende personali e le narrazioni di chi ha lottato anche a costo della propria vita, per la libertà, la dignità e la democrazia; la loro drammatica esperienza si fissa ben più facilmente indelebile nella memoria di chi oggi usufruisce dei vantaggi conseguenti al loro sacrificio”. Questo in fondo l’obiettivo della giornata: memoria e riconoscenza anche nei confronti dei tanti anonimi partigiani che hanno condiviso con Moneta e Di Dio ideali e obiettivi concreti. La lotta partigiana in montagna “ma anche al piano” ha puntualizzato Gianni Manini, presidente del Raggruppamento Patrioti Divisione Di Dio: “non si può dimenticare anche l’importanza che rivestirono le staffette nel portare informazioni e rifornimenti”. “Questa giornata deve essere di ricordo ma anche stimolo e impegno per l’avvenire”. Profonda e toccante l’orazione ufficiale di Paolo Crosa Lenz, storico e scrittore: “Oggi sui luoghi degli eccidi e fucilazioni, spesso c’è una lapide che ricorda ragazzi morti, a volte pochi hanno un nome e una fotografia, molti solo una scritta di sei lettere: “ignoto”. Non sappiamo chi fossero, ma conosciamo cosa li spinse a combattere su queste montagna; sappiamo che in un mattino di inizio estate, con il fieno alto che profumava l’aria, oppure in una nebbiosa giornata d’autunno i loro sogni furono infranti e i loro ideali raccolti da altri. Cosa rimane oggi di quelle esperienze? Certo, istituzioni democratiche consolidate, un’Italia repubblicana, una Costituzione di nobili principi. Una domanda tuttavia ricorre: cosa e come trasmettere ai nostri giovani quei valori? La risposta non c’è, ma va comunque cercata”. E proprio due giovani, le studentesse dell’Einaudi di Domodossola, Sonia Bottinelli e Rebecca Sotta, hanno letto la Preghiera del Ribelle. Tante, si diceva le autorità giunte anche dalle province di Varese e Milano, terre che diedero un importante contributo alla lotta partigiana e rappresentate tra gli altri dai sindaci di Inveruno (Sonia Bettinelli),di Magnago (Carla Picco),di Castano Primo (Giuseppe Pignatiello) e dall’assessore di Villa Cortese Luigi Lamera e dal presidente del consiglio comunale di Busto Arsizio Valerio Mariani. Tra gli ossolani erano anche presenti il capogruppo di maggioranza di Villadossola, Carlo Squizzi e l’assessore di Domodossola Antonella Ferraris. La commemorazione si è conclusa con un pensiero religioso a cura di don Pierino Lietta e il pranzo partigiano al Circolo Arci.

Questo il testo integrale dell’orazione dello storico Paolo Crosa Lenz

Cittadini
Donne e uomini delle terre verbanesi, ossolane, cusiane
Tra il settembre 1943 e l’aprile 1945 il Verbano Cusio Ossola visse pagine importanti nella storia della Resistenza italiana. La vicinanza con la Svizzera, terra di rifugio per perseguitati politici e razziali, il rilievo economico delle centrali idroelettriche e la presenza di industrie belliche “sfollate” fecero di questa terra di confine un luogo strategico nello scacchiere della Lotta di Liberazione. Subito dopo l’8 settembre 1943 si costituirono sui nostri monti formazioni partigiane nate con differenti motivazioni, ma accomunate dalla lotta al fascismo e all’occupazione nazista. I partigiani, protetti e nutriti dalla montagna, scrissero pagine alte e di limpido valore morale nel grande libro della Resistenza. L’esperienza liberatoria e salvifica della Repubblica dell’Ossola fu momento costitutivo del riscatto e di una nuova identità nazionale.

La Val Cannobina, per la sua posizione a ridosso del confine svizzero, fino al rastrellamento del giugno 1944 non vide grosse azioni militari delle formazioni partigiane. Questo perché la valle venne utilizzata dai partigiani come un corridoio che doveva rimanere tranquillo per permettere il passaggio di perseguitati politici e razziali, militari alleati fuggiti dai campi di prigionia, ufficiali e soldati italiani che avevano rifiutano l’arruolamento coatto nell’esercito della RSI. Di questo si occupò la “Cesare Battisti”, collegata ad un’apposita organizzazione clandestina dipendente dal CLN di Milano.

Tra l’estate e l’autunno 1944 due avvenimenti epocali segnarono la storia di questi monti e delle genti che vi vivevano: il grande rastrellamento di giugno e la Repubblica dell’Ossola.

Il rastrellamento della Val Grande rimane ancora oggi impresso nella memoria storica delle popolazioni locali come uno degli eventi più tragici della Resistenza. Dall’11 giugno al 1° luglio 1944 l’operazione, coordinata dal comando SS di Milano, è tesa ad annientare le formazioni partigiane attestate sui monti di Verbania (il “Valdossola” di Dionigi Superti, la “Cesare Battisti” e la “Giovane Italia”). Per venti giorni parecchie migliaia di soldati tedeschi e fascisti (con l’appoggio di aerei, blindati e artiglieria pesante) braccano meno di 500 partigiani laceri e affamati, molti dei quali disarmati. Il rastrellamento vede atti di estrema ferocia da parte dei reparti speciali antiguerriglia delle SS con torture, fucilazioni sommarie di civili, partigiani gettati vivi dai dirupi. Alla fine del rastrellamento si contano circa 300 partigiani morti, 208 baite e stalle incendiate in Val Grande e Val Pogallo.

Il 23 giugno 1944, contro il muro del cimitero di Finero, vengono fucilati, senza motivo di rappresaglia, 15 partigiani catturati durante il rastrellamento in Val Cannobina e Vigezzo, dopo essere state tenuti prigionieri e torturati nell’asilo di Malesco trasformato in carcere. Un sedicesimo prigioniero, un ragazzo di 16 anni, viene salvato dall’energico intervento del parroco di Finero dopo un’allucinante permanenza nel carcere di Malesco, dove gli vengono strappate le unghie delle mani e dei piedi.

Nonostante il duro colpo inferto al movimento partigiano, due mesi dopo la fine del rastrellamento il “Valdossola” di Dionigi Superti con la “Valtoce” di Alfredo Di Dio liberano Domodossola e danno vita alla libera Repubblica dell’Ossola. Vittime del rastrellamento non sono solo le formazioni partigiane, ma anche pastori e alpigiani che pagano con la vita e la distruzione di stalle e alpeggi l’appoggio dato alla Resistenza.

I “Quaranta giorni di libertà” della Repubblica dell’Ossola (10 settembre – 14 ottobre 1944 con ulteriori giorni di resistenza estrema nelle vallate verso i confini) rappresentarono una prima esperienza di governo democratico in un territorio liberato. Quella ossolana fu l’esperienza più significativa delle 18 “zone libere” che i partigiani conquistarono momentaneamente durante l’occupazione tedesca. Comprendeva un vasto territorio dai laghi ai confini svizzeri. La Giunta Provvisoria di Governo, retta dal socialista Ettore Tibaldi, rifletteva la composizione politica delle forze resistenziali; si occupò di finanze, giustizia, trasporti, assistenza, istruzione, garantì la libertà di stampa e l’espressione democratica, assicurando lo svolgimento di una regolare vita civile ed amministrativa, sotto la pressione delle vicende militari, mentre i nazifascisti preparavano la riconquista di Domodossola ed in Europa imperversava la guerra, ponendo le basi della futura Costituzione Italiana.

Durante quella breve e intensa stagione di libertà, la Val Cannobina a Ponte Falmenta e la Val d’Ossola a Ornavasso-Mergozzo costituirono il “confine” tra la zona libera e la Repubblica di Salò. Durante le operazioni di rioccupazione dell’Ossola l’11-12 ottobre ’44 i nazifascisti attaccarono la Val Cannobina difesa dalla Divisione partigiana “Piave”. I partigiani resistettero due giorni poi il fronte si sfaldò e i tedeschi risalirono la valle.

La mattina del 12 ottobre Alfredo Di Dio, comandante della “Valtoce” e il colonnello Attilio Moneta, comandante della Guardia Nazionale della Repubblica dell’Ossola, lasciarono Malesco su due automobili assistiti dalla squadra-comando per recarsi in Val Cannobina a verificare la situazione. Poco prima del Sasso di Finero caddero in un’imboscata venendo colpiti da raffiche di mitragliatrici sparate dalle avanguardie tedesche appostate sopra l’imbocco della galleria. Un partigiano e un militare canadese, il maggiore Patterson, vennero catturati, Moneta morì sul colpo, Di Dio venne lasciato morire dissanguato, gli altri partigiani riuscirono a fuggire gettandosi in un canalone. Il pomeriggio del 14 ottobre tedeschi e fascisti entrarono in Domodossola.

Di quell’esperienza, scrisse nel 1989 Gianfranco Contini, che fu membro del C.L.N. ossolano: La Resistenza Ossolana è stata un movimento di popolo, sia nei momenti della clandestinità, sia in quello palese di collaborazione al Governo provvisorio. La misura della partecipazione pubblica, in cui ognuno ebbe qualcosa da pagare o da perdere (e poi da non reclamare) fu un fatto civile di rara e non abbastanza sottolineata rilevanza.

Oggi sui luoghi di eccidi e fucilazioni, spesso c’è una lapide che ricorda ragazzi morti, a volte pochi hanno un nome e una fotografia, molti solo una scritta di sei lettere: “ignoto”. Non sappiamo chi fossero, ma conosciamo cosa li spinse a combattere su queste montagne; sappiamo che in un mattino di inizio estate, con il fieno alto che profumava l’aria, oppure in una nebbiosa giornata d’autunno i loro sogni furono infranti e i loro ideali raccolti da altri.

Cosa rimane oggi di quelle esperienze? Certo, istituzioni democratiche consolidate, un’Italia repubblicana, una Costituzione di nobili principi. Una domanda tuttavia ricorre: cosa e come trasmettere ai nostri giovani quei valori? La risposta non c’è, ma va comunque cercata.

Oggi quella montagna “della Resistenza” non è più quella di prima, in conseguenza di profondi mutamenti economici e sociali ma anche di repentine vicende storiche. Storicamente le Alpi hanno avuto un ruolo produttivo (erba e legna, pietre e minerali),oggi hanno un prevalente ruolo ricreativo e sono un’enorme riserva di biodiversità preziosa da tutelare e conservare. Sono anche un grande giacimento di memoria e di valori etici, altrettanto preziosi per la società contemporanea. L’Europa, dilaniata da nuovi conflitti, ha bisogno della memoria delle Alpi.

Le tre componenti dell’escursionismo moderno (azione, contemplazione e conoscenza) trovano sui nostri monti compiuta possibilità di espressione. Oggi, camminare sui sentieri dei partigiani non è solo occasione di recupero di una memoria che racconta atti di eroismo e giorni di dolore, quanto occasione per confermare valori etici assoluti (la tolleranza, la solidarietà, il rispetto dell’uomo). Le Alpi oggi ci dicono che, al ritorno da una gita appagante e serena con gli amici, quei valori li dobbiamo vivere quotidianamente. E’ la nuova etica della montagna.

Paolo Crosa Lenz

Fonte:ossolanews.it

Di seguito potete trovare un video dove a parlare è il Partigiano Riccardo Zebra Video

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