Risalire dall’abisso di Auschwitz: padre Kolbe

Nel mese di agosto, oltre ad Edith Stein, anche un altro santo dei nostri giorni trovò la morte ad Auschwitz: padre Massimiliano Kolbe, che morì nel campo di sterminio della cittadina polacca il 14 agosto 1941.

Rajmund Kolbe nacque a Zdunska Wola, cittadina del voivodato di ?ód?, al centro della grande pianura polacca, che all’epoca apparteneva  all’impero  russo. Fin da fanciullo, la sua vita fu indirizzata verso la vocazione sacerdotale che egli coltivò nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, nel quale entrò come novizio il 4 settembre 1910, assumendo il nome di Massimiliano. La sua formazione culturale maturò a Roma, dove ottenne due lauree, e si completò nel 1919, una volta ordinato sacerdote e aver conseguito il dottorato di teologia. Concluso il Primo Conflitto mondiale e risorta la nazione polacca, padre Kolbe si stabilì a Cracovia, dove iniziò a insegnare nel seminario, ed approfondì uno dei tratti essenziali della sua esperienza spirituale, consapevole di doversi impegnare in un periodo storico difficile, caratterizzato dall’emergere di ideologie totalitarie, dalle sfide sociali poste dalla crescente industrializzazione, dal materialismo e dallo sviluppo dei mass media.

Seppur malato di tubercolosi, iniziò una intensa attività pastorale: nel 1927 fondò, non lontano da Varsavia, un convento chiamato Niepokalanów, ovvero “Città di Maria”, dotato di una tipografia e di un seminario missionario. L’istituzione crebbe rapidamente e divenne uno dei conventi cattolici più grandi al mondo, quasi una città autonoma. Gli anni successivi (1930-1936) lo videro impegnato in Giappone e India, dove avviò nuove opere formative. Rientrato in Polonia, padre Kolbe si dedicò al rafforzamento di Niepokalanów, impegno interrotto da brevi periodi in Italia e in Lettonia. 

Niepokalanów, 01.09.2018. Wierni podczas mszy ?w. inauguruj¹cej ?wiatowe Centrum Modlitwy o Pokój, 1 bm. w Bazylice NMP Niepokalanej Wszechpo?redniczki £ask w Niepokalanowie. (cat) PAP/Marcin Obara

Gli eventi in Europa però precipitavano: la Polonia venne occupata dalla Germania e dall’URSS.  Padre Kolbe venne arrestato dalle truppe tedesche il 19 settembre 1939 insieme ad altri 37 confratelli, venendo liberato solo tre mesi dopo.  Rientrò a Niepokalanów,  ma  la sua libertà durò poco: il 17 febbraio 1941, fu nuovamente e definitivamente arrestato dalla Gestapo. 

Il 28 maggio 1941, padre Kolbe giunse ad Auschwitz e venne destinato ai lavori più umilianti del campo di sterminio. Più volte bastonato, non rinunciò a dimostrarsi solidale nei confronti dei compagni di prigionia e, nonostante fosse vietato, celebrò in segreto due volte una messa e continuò il suo impegno come sacerdote. 

Nel luglio 1941, la fuga di uno dei prigionieri causò una rappresaglia da parte dei nazisti, che selezionarono dieci persone della stessa baracca per farle morire nel cosiddetto bunker della fame. Quando uno dei dieci condannati, Franciszek Gajowniczek, scoppiò in lacrime dicendo di avere una famiglia a casa che lo aspettava, padre Kolbe uscì dalle file dei prigionieri e si offrì di morire al suo posto. In modo del tutto inaspettato, lo scambio venne concesso: la logica dell’universo concentrazionario nazista era volta allo spezzare ogni legame affettivo e i gesti di solidarietà non erano accolti con favore. Padre Kolbe venne quindi rinchiuso nel bunker del Blocco 11. Dopo due settimane senza acqua né cibo, la maggioranza dei condannati era morta di stenti, ma quattro di loro, tra cui il francescano polacco, erano ancora vivi e continuavano a pregare. La calma professata dal sacerdote impressionò le SS addette alla guardia, per le quali assistere a questa agonia si rivelò scioccante. Kolbe e i suoi compagni vennero quindi uccisi il 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell’Assunzione di Maria, con una iniezione di acido fenico. I loro corpi vennero cremati il giorno seguente, le ceneri disperse. 

Secondo la testimonianza di Franciszek Gajowniczek, padre Kolbe disse all’incaricato di effettuare l’iniezione mortale nel braccio: «Lei non ha capito nulla della vita…» e mentre questi lo guardava con fare interrogativo, soggiunse: «…l’odio non serve a niente… Solo l’amore crea!». Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: «Ave Maria». Franciszek Gajowniczek riuscì a sopravvivere ad Auschwitz. Tornato a casa, trovò sua moglie viva, ma i suoi due figli erano rimasti uccisi durante un bombardamento russo. Morì nel 1995. 

Padre Kolbe fu beatificato il 17 ottobre 1971 da papa Paolo VI e canonizzato il 10 ottobre 1982 da papa Giovanni Paolo II, che nell’omelia lo definì «santo martire, patrono speciale per i nostri difficili tempi, patrono del nostro difficile secolo» e «martire della carità»

Come il martirio di Edith Stein, anche quello di padre Massimiliano Kolbe rappresenta una testimonianza ineguagliabile della possibilità degli uomini di risalire l’abisso dei  campi di concentramento nazisti, dove hanno perso la vita milioni di uomini e donne. Un abisso che purtroppo si ripete ancora nella storia della umanità, a volte con altrettanta ferocia.