Storia della Federazione Italiana Volontari della Libertà

Storia della Federazione Italiana Volontari della Libertà

2. La nascita della Federazione Italiana Volontari della Libertà

Nel clima euforico che accompagnava l’arrivo delle truppe alleate, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia si costituì il 6 giugno 1944 ad opera dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, nelle stesse ore in cui si completava la liberazione della capitale ed iniziava lo sbarco in Normandia. Pochi giorni dopo, il 9 giugno 1944, fu costituito a Milano il Corpo Volontari della Libertà, la struttura di coordinamento delle forze partigiane, che aveva lo scopo di realizzare una strategia militare comune per le varie brigate, riservando al C.L.N. la guida politica.

Nei mesi successivi alla conclusione del conflitto, quando cominciavano a delinearsi le prime questioni del delicato passaggio dalla guerra alla pace, da un regime totalitario ad una vita civile finalmente democratica, aderivano all’A.N.P.I. i partigiani di tutti gli schieramenti politici, tuttavia erano già molte le questioni di fondo che l’ancora unica associazione partigiana doveva affrontare, e non si trattava solo di questioni di organizzazione, come illustra un articolo del «Corriere della Sera» del 1 settembre 1946:

L’Associazione nazionale partigiani fu costituita per mantenere spiritualmente uniti i partigiani e difenderne i diritti.

Il meccanismo organizzativo ci è stato illustrato dall’avv. Elmo e dai suoi collaboratori Mosna, Balconi e De Angelis, i quali hanno riassunto anche la storia dell’Associazione. Il comitato nazionale venne formato pariteticamente, mediante la nomina di tre rappresentanti per ogni corrente, ossia «garibaldini», «matteottiani», ecc.; in seno al comitato si costituì poi un «esecutivo», composto pure pariteticamente da un rappresentante per ciascuna «corrente». In pratica, però, con la nomina di un «garibaldino» a segretario generale, l’ossatura burocratica restò affidata ai «garibaldini»; e altrettanto avvenne in molte sezioni provinciali.

L’elezione dei dirigenti, nella forma democratica, fu rimandata in attesa dell’accertamento della qualifica di partigiano, disposto sin dall’agosto 1945, ma iniziatosi praticamente soltanto nel gennaio scorso. I partigiani – ci hanno detto i dirigenti dell’A.N.P.I. sopra nominati – che nel periodo clandestino si aggiravano sulle centomila unità (salite, tenendo conto degli avvicendamenti, ammettiamo pure al doppio), dopo la liberazione divennero improvvisamente dai 600 ai 700 mila, tutti in possesso di certificati più o meno compiacentemente rilasciati. Fu una vera e propria inflazione di sconosciuti, i quali non avevano certo né lo spirito eroico, né la purezza di ideali dei partigiani autentici.

Le commissioni regionali che hanno il non facile incarico di operare la selezione sono formate da due rappresentanti per ogni «corrente», da due rappresentanti militari nominati rispettivamente del Ministero della Guerra e da quello dell’Aviazione; e sono presiedute da persona nominata dalla Presidenza del Consiglio su designazione del ministro dell’Assistenza postbellica. Dai risultati a cui sinora si è pervenuti si può desumere che i partigiani convalidati, ossia i partigiani veri, non superano il quaranta per cento.

Sono i partigiani autentici, quelli che non vogliono essere confusi con gli arrivisti e con gli impostori, – e neppure con i facinorosi – che reclamano giustizia. Attorno ad essi è la parte migliore del popolo italiano[5].

In questo clima, l’8 novembre 1946 si aprì a Firenze il convegno nazionale dell’A.N.P.I., che il quotidiano milanese così descrive:

La cronaca della prima giornata non ha gran che da segnalare, né poteva comunque dire di grandi fatti, data l’indole dei lavori odierni aventi piuttosto carattere di preparazione ed introduttivo a quelli che seguiranno nelle prossime giornate. Si è potuto d’altro canto avvertire – e lo si è capito da alcuni accenni fatti dagli oratori ufficiali prontamente segnalati dall’attenzione o dalla reazione del pubblico – che esistono in fieri, ma ben delineati, temi e argomenti che potranno dare luogo a drammatiche sedute o a vivi scambi di opinioni. L’allontanamento dei falsi partigiani, l’atteggiamento del Governo, della stampa e dell’opinione pubblica nei riguardi dell’associazione, l’eventualità di fusione con altre associazioni di reduci e combattenti, l’immissione dei partigiani nelle forze di polizia ed altri punti ancora che potranno emergere dalle discussioni.

[…] Le sette tendenze rappresentate al convegno (in ordine alfabetico: Matteotti, Centri militari, formazioni autonome, formazioni del partito democratico italiano, garibaldini, giustizia e libertà) hanno provveduto ciascuna a nominare un presidente onorario e un presidente effettivo. I sette presidenti onorari hanno fatto, ognuno, un discorso[6].

Qualche giorno dopo, tirando le somme dell’importante assise, il quotidiano milanese riporta:

In complesso si sono riaffermati i risultati delle discussioni dei giorni scorsi vertenti su un programma «minimo» di rivendicazioni morali, politiche, sindacali e assistenziali.

Il pubblico dei delegati, ormai leggermente provato, ha quasi sempre applaudito concorde, seguendo le linee di una procedura piuttosto stanca e confusa. Approvato è stato anche il progetto riguardante l’organizzazione provvisoria dell’A.N.P.I. fino al prossimo congresso. Il nuovo comitato nazionale provvisorio è costituito da 61 membri eletti tra le figure rappresentative della resistenza e tenendo conto sia delle differenziazioni regionali sia delle diverse tendenze[7].